Mettersi in gioco non è sempre facile, anche se dovesse significare dedicarsi alle proprie passioni, ma quando poi arrivano le soddisfazioni, valgono doppio. E sono sicura sia proprio così anche per Chiara e Francesco, i due stilisti del loro nuovo brand Gentile Catone.
Lasciatemi sbracciare un pochino al suono di “Io li conosco! Io li conosco!”, sono infatti anche loro due giovani pescaresi, con una grandissima cultura e (evidentemente) molto buon gusto, amanti del bello e di tutto ciò che li appassiona, senza lasciare nulla al caso. Quando ho saputo per la prima volta dell’inizio della loro nuova avventura li ho ammirati tanto, e questa volta, a pochi mesi di distanza, ho potuto guardare da vicino le loro creazioni, e voglio raccontarvi perché è stata un’esperienza a 360°.
In occasione di AltaRoma hanno mostrato la loro Capsule collection F/W 18-19 Electric Dépendance, “un piccolo universo fatto di déjà vu rutilanti, di amuleti dell’anima, di utopie crepuscolari che si intrecciano ad effervescenze moderne per definire una nuova idea di femminilità”.
Una linea caratterizzata da una forte impronta classica ma dai tratti audaci, che riesce a trovare un equilibrio, a volte sorprendente, tra stili, tecniche e materiali.
Sono tanti gli elementi che catturano subito l’attenzione e che definiscono benissimo l’essenza racchiusa nella collezione: i tessuti, raffinati e ricercati, dominati da sete pregiate; il viaggio, tra linee composte che richiamano un’aria inglese, rouches dal romanticismo francese e stampe di giardini esotici; la versatilità di capi che fanno della nostalgia la loro forza, la caratteristica che li rende senza tempo, l’accostamento di “nessuna” e tante tendenze.
Il confronto costante tra colori, stili, elementi, è stato però protagonista anche di una storia. L’intero evento infatti non è stato una semplice sfilata, ma il racconto di quella che è questa Electric Dépendance.
Una stanza con quattro donne, un’apparenza pacata a velare una forte tensione. Un segreto che lascia spazio alla fantasia di chi lo guarda dall’esterno, una coreografia che accompagna lo spettatore in un viaggio ben oltre i confini geografici.
Tutto questo è stato perfettamente rappresentato in una costruzione performativa a cura di Rossano Giuppa, che è stata secondo me una scelta non solo giusta, ma assolutamente interessante e che non ha distratto lo sguardo.
Sapete quanto sono attenta ai dettagli e soprattutto alle sfumature, e questa è stata una tonalità di moda estremamente coinvolgente. Le passerelle sono sempre un momento emozionante, che può essere a volte divertente, ma anche molto rischioso, basta una musica sbagliata per distogliere l’attenzione dai veri protagonisti, gli abiti. In più, una sfilata “tradizionale” è fatta di semplici flash, momenti che non possono mai catturare a pieno l’idea e la storia che c’è dietro ogni creazione. Personalmente proprio in questa occasione ho avuto modo di ricordarmi ancora una volta cosa sia la moda: una forma artistica, che come tutte, esprime e racconta qualcosa.
Questo evento è stato una vera e propria esposizione, un momento per confrontarsi con questa nuova linea (di abiti e di pensieri), una messa in scena emozionale che ha eliminato il confine tra la passerella e il pubblico, quel metateatro che mi è tanto caro.
Poi c’erano loro, Chiara e Francesco, ma anche chi ha lavorato a questo evento con loro, che sono stati con il pubblico, a confrontarsi e raccontarsi, a condividere un momento ma anche tutte le idee che c’erano dietro.
Nello scorso post sui trend del 2018 per gli eventi ho parlato di coinvolgimento, e trasformare un evento in un’esperienza è sicuramente la formula migliore.
Se volete sapere invece, quali siano stati i miei capi preferiti, non vi posso aiutare, perché li sceglierei tutti!
G.