Cercherò di essere breve e meno obiettiva possibile, “meno” perché in certi casi bisognerebbe appellarsi alla propria coscienza piuttosto che a quella tragicamente comune.
Accade il 2 luglio scorso ad Oppido Mamertina, piccolo comune in provincia di Reggio Calabria, già tristemente nota alla cronaca per le faide interne che hanno portato a diverse stragi. Il Maresciallo dei Carabinieri decide di lasciare la processione della Madonna delle Grazie per un “inchino”, un gesto di riverenza fatto davanti la casa del boss locale della ‘ndrangheta, attualmente ai domiciliari per motivi di salute. L’unico gesto che sembra sconcertare la popolazione intera è quello del Maresciallo, che si è subito recato in caserma per avviare le procedure di identificazione di coloro che avevano preso parte alla Processione.
Il “caso” però non si ferma qui. L’episodio in sé, la cui effettiva verifica rimane di competenza delle autorità, potrebbe anche essere messo da parte alla luce degli avvenimenti che di lì a poco si sono susseguiti.
Il primo momento che assume subito rilievo è l’intervento del parroco che durante la Funzione invita i fedeli a schiaffeggiare il giornalista in fondo (in realtà fuori) la Chiesa. Lo stesso giornalista viene poi attaccato da diversi cittadini che lo ritengono inopportuno e che portano ben alti i loro “valori”: silenzio e omertà.
Successivamente la figlia del boss in questione si concede agli obiettivi di alcuni giornalisti in un’accorata arringa contro la giustizia italiana che le ha portato “via” (in carcere) 6 nipoti e il padre, accusando il sistema di complottare contro la sua famiglia e asserendo che la ‘ndrangheta sia tutta una montatura.
Si aggiunge al coro il sindaco, in carica da poco più di un mese, il quale difende ogni momento della processione, affermando che il percorso è sempre stato uguale da decenni e non ritiene che nessun atto potesse essere considerato un gesto di riverenza nei confronti della Criminalità Organizzata. MA, si dice pronto a costituirsi Parte Civile nel caso in cui dalle indagini, dovessero risultare effettivamente tali gesti decisamente poco “decorosi”. Il tutto viene nel dettaglio esplicato anche da un servizio di una rete locale che sottolinea il dubbio per cui l’intero episodio potrebbe essere un modo di diffamare qualche autorità (ecclesiastica o amministrativa che sia), soprattutto nei confronti del neo eletto sindaco.
Sul famigerato inchino io non avrei troppi dubbi, a meno che il maresciallo in questione non fosse particolarmente lucido, ma come già detto lasciamo tali constatazioni alle autorità. Ciò che più inquieta è il preoccupante ritratto di una società ancora così omertosa, anche davanti all’evidenza. Anni di lotte contro la Criminalità Organizzata non hanno ancora, ad oggi, creato una coscienza e una conoscenza del fenomeno “mafioso” tali da evitare simili reazioni. Ne esce una fotografia di un popolo rimasto nel suo passato, sepolto dalla paura. Persone che difendono il loro presente malato. Una componente religiosa che, nonostante le recenti forti parole di Papa Francesco, non si fa problemi ad invitare alla violenza pur di mantenere tra le proprie mura il proprio mondo, protetto e nascosto dagli occhi altrui, di quelli che non possono capire, che saprebbero e vorrebbero solo stravolgere i loro equilibri. La Criminalità Organizzata non è radicata nel territorio, ma nella mente di certe persone, soggiogate dalla paura, dal timore, dalla convinzione che le cose possano andare solo così. Persone che andrebbero semplicemente educate, istruite, che vivono nei limiti e nell’ignoranza che gli viene automaticamente imposta. Continuerò a seguire la vicenda, ma sono sempre più certa del fatto che sconfiggere la Criminalità Organizzata possa significare una cosa sola: toglierle ciò di cui si nutre e su cui vive, ossia la paura, l’ignoranza e la riverenza di quelle persone a cui non è ancora stato concesso di vedere il male che porta.
G.